Attenzione al Cybersquatting

Attenzione al cybersquatting! Cerchiamo di capire meglio cos’è e come difendersi da una pratica sempre più comune che viene utilizzata per trarre indebito vantaggio dall’importanza degli altri brand, società e concorrenti o addirittura per costringere il legittimo titolare a pagare al fine di ottenere la riassegnazione del dominio.

Secondo l’Anti-cybersquatting Consumer Protection Act statunitense, il cybersquatting consiste nel registrare o utilizzare un dominio Web in cattiva fede, per cercare di ricavare un guadagno economico da marchi registrati ed appartenenti ad altro soggetto.

L’origine

Il fenomeno dello squatting è sempre esistito in contesti non digitali e consiste nell’occupazione di terreni ed edifici abbandonati, il più delle volte occupazione a scopi meramente politici che o per ottenere un forte riscontro mediatico. L’invasione di terreni ed edifici è contemplata nell’art. 633 c.p. nella misura in cui la norma assicura la tutela del pacifico godimento della proprietà in favor del proprietario o del titolare di un diritto personale o reale.

 Nel web

Anche in ambito web, tale fenomeno trova una sua esplicitazione, con particolare riferimento alla tutela della proprietà intellettuale, acquisendo il nome di cybersquatting.

Il domain grabbing, o per l’appunto cybersquatting, altro non è che l’ipotesi nella quale viene acquisita la titolarità di nomi a dominio corrispondenti a nomi generici, marchi altrui, nomi di persone reali al fine di venderli o trarne un profitto nella propria sfera giuridica e/o patrimoniale.

Spesso nel diritto informatico le definizioni di questi due fenomeni vengono equiparati, ma è corretto precisare che : il cybersquatting riguarderebbe solo il nome generico di una persona, mentre il domain name sarebbe uguale alla denominazione di un marchio appartenente ad un terzo soggetto.

Così più nello specifico si possono distinguere alcune tipiche tipologie di cybersquatting:

  • Cybersquatting con intento criminoso. Si tratta della tipologia più comune; il cyber criminale registra il dominio con il solo scopo di ottenere un ricavo monetario, rivendendolo al legittimo proprietario dei diritti sul marchio.
  • Typosquatting/punycode. Il cyber criminale registra un dominio con un piccolo errore ortografico nel nome rispetto al dominio originale, quindi crea un sito in frode (phishing) che può essere utilizzato per spingere l’utente a condividere dati personali o a scaricare software

Le varianti:

  • Name jacking. Il cyber criminale procede all’acquisto di un dominio con il nome e cognome di una persona spesso famosa. Ciò permette, creando un opportuno sito, di dirigere le ricerche per tale persona al portale. Si possono immaginare chiaramente le conseguenze se viene posto in ere nei confronti di personaggi noti. Gli utenti sono, infatti, spinti a visitare il sito web, generando traffico e venendo esposti a pericolo di phishing.
  • Furto d’identità. I cyber squatter possono utilizzare tool automatizzati per acquistare i domini non rinnovati in seguito alla scadenza della registrazione. Se il legittimo proprietario non procede al rinnovo, il dominio diviene pubblicamente disponibile con conseguenze disastrose per l’originario titolare legittimo.

Il Cybersquatting, spesso, può essere utilizzato anche sui social

Come studio legale che si occupa anche di Fashion Law (Diritto della moda e del design), spesso ci troviamo difronte anche a situazioni dove, nella commercializzazione di un prodotto sui social network come Instagram, vengono utilizzati in modo fraudolento #hashtag propri di un brand famoso in modo che, quel bene non originale e contraffatto, possa essere confuso con lo stesso bene di lusso.

Sono comportamenti molto più insidiosi, sia per la mancanza di una specifica normativa in materia sia per il fatto che i Tribunali non si sono ancora allineati nel riconoscere una univoca valenza di condotte di concorrenza sleale.

Ci sono state, infatti, diverse sentenze sull’uso scorretto e illegittimo di meta-tag all’interno dei codici di siti web che hanno ricondotto queste fattispecie nel concetto di “concorrenza sleale” poiché veniva sfruttata la notorietà del marchio altrui attraverso l’utilizzo di parole chiave che fossero in grado di confondere il consumatore, ma rispetto all’uso illegittimo di #hastag sui social, non vi è ancora una giurisprudenza degna di nota.

Su questo si rimanda ad un nostro precedente articolo di approfondimento nella sezione blog.

Affinché un dominio venga considerato abusivo e dunque censurata la sua registrazione, devono verificarsi i seguenti presupposti:

  • l’autore del cybersquatting deve avere registrato il dominio con scopi disonesti;
  • chi richiede la riassegnazione del dominio deve avere un chiaro diritto sullo stesso;
  • il nome del dominio deve essere identico o confondibile con il nome o firma di chi ne richiede la riassegnazione.

Il nostro ministero della giustizia, sul proprio sito web, definisce il cybersquatting: “Trattasi di atto illegale di pirateria informatica, che consiste nell’appropriarsi del nome di un dominio già esistente per poi rivenderlo ad un prezzo molto più alto” e lo indica come condotta criminale, facendo riferimento ai seguenti articoli e normative:

  • art. 473 c.p. (contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi, di opere dell’ingegno o di prodotti industriali);
  • art. 640 c.p. (truffa);
  • art. 7 c.c. (diritto al nome);
  • art. 2569 – 2574 c.c.;
  • D.L. 189/1996 (normativa marchi e segni distintivi)
  • D.P.R. 795/1948 (Testo delle disposizioni regolamentari in materia di marchi registrati)
  • D.L. 480/1992 (Attuazione della direttiva n. 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, recante ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa)
  • D.P.R. 595/1993 (Regolamento recante modificazioni al testo delle disposizioni regolamentari in materia di brevetti per marchi d’impresa, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1948, n. 795)

Si segnala poi un importante e recente sentenza sul tema del cybersquatting

Per fornirvi spunti, segnaliamo la Cassazione civile (ord.), sez. I, 21/02/2020, n. 4721 (Solaroli Graziella vs. Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.)  che precisa come «La registrazione di un domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio. (…)

Si trattava infatti della illegittima registrazione del dominio “grazia.net”  che richiamava in maniera ovvia ed evidente la testata della MONDADORI Editore, “GRAZIA”, notissimo giornale di moda con il proprio sito web.

La sentenza continua sostenendo che: E’ indubbio che l’uso del marchio grazia.net abbia comportato un oggettivo agganciamento, atteso il medesimo nucleo ideologico semantico, al marchio rinomato ed altamente distintivo «Grazia», presente come testata editoriale nel territorio nazionale fin dagli anni ’40 del secolo scorso» .

Procedure di riassegnazione

Sono previste particolari procedure amministrative obbligatorie a seconda delle estensioni (WIPO per gTLD quali .com, .net, .org, .info e molti ccTLD, NIC per .it). con lo scopo di evitare il ricorso a tribunali e volte alla riassegnazione del nome a dominio registrato in violazione dei diritti di marchio al titolare del marchio registrato.

Resta comunque la tutela giudiziale anche per la richiesta di risarcimento danno che in alcuni casi potrebbe essere davvero elevata.

Per tutelarsi dal cybersquatting si consiglia, quindi, di avere alcune minime accortezze, ma di effettuare sempre controlli periodici

  • registrare sempre i propri marchi presso l’Ufficio Brevetti e Marchi;
  • verificare che la prima registrazione del vostro dominio, anche se in buona fede, non leda diritti di altri
  • verificare la scadenza dei propri domini e rinnovarli, onde non consentire l’acquisto da parte di terzi.

Per qualsiasi ulteriore approfondimento non esitate a contattare lo studio : info@studiobosaz.it

 

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